Spazi fisici e filosofici nell'opera di Andrea Zanzotto
Abstract
A partire dagli anni Sessanta del Novecento, nell’ambito delle scienze umane si assiste alla cosiddetta spatial turn: una fioritura di indirizzi critici che rimettono al centro dell’attenzione il rapporto dell’uomo con la spazialità e i modi in cui essa viene rappresentata. Non solo in filosofia o in sociologia, ma anche nell’universo letterario è possibile rintracciare una densa costellazione di opere che ragionano su tali temi. A questo riguardo, spicca di certo la produzione poetica di Andrea Zanzotto. L’assunto foucaultiano per cui «lo spazio è per il linguaggio la più ossessiva delle metafore» vale al massimo grado, infatti, per un poeta come Zanzotto che fa del “mondo” il principale oggetto d’indagine. Se ogni testo poetico è costruito sulla base di una logica spazializzante che lo accomuna a tutti i testi letterari, la poesia di Zanzotto presenta, come componente aggiunta, la specificità delle tematiche prescelte, che sono propriamente da ricondurre alla topica spaziale nelle sue varie declinazioni (Natura, ecosistema, luogo, paesaggio). Coprendo l’intero arco della seconda metà del Novecento e il primo decennio del Duemila (1951-2009), la sua opera è un compendio in versi dei temi che preoccupano i maggiori filosofi della contemporaneità: Heidegger, Foucault, Deleuze. Attraverso un approccio interdisciplinare si offrirà una disamina critica delle rappresentazioni spaziali nell’ultimo Zanzotto filtrate attraverso l’occhio critico di Yves Bonnefoy.
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