Heaney l’amante infelice. Riprese del libro VI dell’Eneide
Abstract
Seamus Heaney è forse l’amante infelice del Cristianesimo. Il rispetto per i morti, per le lacerazioni e infezioni nazionali – rispetto cantato superbamente in Station Island – spinse il poeta irlandese a cercare il rimedio alla crisi dei valori in un sistema trascendente
anteriore a quello intimamente cristiano: i Campi Elisi virgiliani. «Una fede lieve e pesante come la mannaia di una ghigliottina», suggerisce inconsapevolmente Kafka. Con Virgilio Heaney condivideva anche la sorte di esule. Nella nostra epoca assetata di alterità politica e metafisica, il loro rapporto va più a fondo della semplice ‘ripresa’, ‘traduzione’, ‘rilettura’: in entrambi si scorge l’inconfondibile tensione verso l’assolutamente altro, la trascendenza che, rinnovata, torna a investire il reale della sua potenza. Heaney e Virgilio, in una voce unica e stentorea, divengono per la nostra epoca quasi un destino irrinunciabile.
With respect to Christianity, Seamus Heaney may be considered an ‘unsatisfied lover’. His reverence towards both the dead and the wounds of his nation – a reverence majestically sung in Station Island – set the Irish poet on search for a remedy to the crisis of Christian values. That search found its fullfillment in a transcendence system prior to the Christian one: Virgil’s Elysium. «A belief is like a guillotine, just as heavy, just as light.», Kafka unsconsciously suggests. Heaney and Virgil even shared the same outcast fate. In our age – which craves for political and metaphysical otherness – the link between Heaney and Virgil is way deeper than mere reinterpretation or reworking. In both of them, we can glimpse the unique tension towards the Absolute Other – that is transcendence – which comes back to fill reality with its renewed power. Heaney and Virgil are one single stentorian voice, and they represent an undeniable destiny from the point of
view of our times.
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